Omelia della III Domenica di Pasqua

Fratelli e Sorelle carissimi, non è il dolore in se stesso che ci salva, ma l’amore che sostiene il dolore, e lo sostiene solo se diventa ancor più amore. Chi percorre la Via Crucis guardando solo al dolore non comprende l’incendio d’amore del cuore di Cristo, che è morto per la nostra salvezza dalla dannazione eterna. Non lo comprende neppure chi dice che Gesù sapeva che sarebbe risorto e quindi la sofferenza l’ha sostenuta facilmente perché sapeva che avrebbe vinto. Un discorso del genere rivela un cuore freddo, assente, perché l’amore non si attua in un esame astratto dell’evento, in un essere il più possibile fuori dall’evento, ma cresce restando dentro l’evento. Lo si dice comunemente: “Soffrire e offrire”. Voglio essere chiaro, il dolore non è di per sé un bene, ma se vissuto in Cristo diventa occasione di bene, con Cristo. L’amore abbraccia il soffrire perché non vuole uscire dall’evento, vuole starvi dentro perché solo così si rimane nell’amore verso l’amato. Rifiutare il patire, quando c’è il patire, è il dramma degli gnostici (gnosi vuol dire conoscenza), che credono di essere grandi perché cercano l’astrazione dall’evento, vogliono superare l’evento innalzandosi su di esso, e affrontano il dolore senza amore per nessuno, solo compiacendo se stessi (Cf. Rm 15,1). Questo lo fanno perché hanno deciso di troncare con ciò che dà la capacità positiva di sostenere il patire, cioè l’amore. Gesù sapeva che avrebbe vinto, ma sapeva che avrebbe vinto amando, cioè non astraendosi dal dolore, ma vivendolo, vincendolo con la forza dell’amore. Forse sono un po’ difficile, ma credo che mi comprenderete. Ecco allora, guardiamo a Gesù che non fugge il dolore. Non solo quello dei flagelli e della croce, ma anche quello dato dall’odio del mondo, dolore molto più grande di quello fisico, perché direttamente contro l’amore. Non fuggì, Gesù, neppure dal silenzio del Padre, che portò ai vertici il suo soffrire, perché a quello fisico, a quello morale dato dal subire gli urti dell’odio del mondo, si aggiungeva quello spirituale dato dal silenzio del Padre, chiaramente manifestato dalle parole di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Certo, il Padre non solo ha lasciato che gli uomini mettessero a morte il Figlio, ma è anche entrato in un silenzio sul Figlio, che trattava da peccato, perché aveva addossato su di sé i peccati degli uomini per espiarli. Certo, l’anima di Cristo aveva la visione dell’Essenza divina, ma la comunicazione amorosa del Padre si era affievolita, fino a spegnersi. Gesù avvertiva il silenzio del Padre nella sua umanità, ma anche nel Padre, nella stessa Essenza divina. L’Essenza divina è, con altro termine, la sostanza spirituale divina, che è lo stesso Dio, l’Essente, cioè colui che sussiste di per sé, che non ha ricevuto da altro il suo essere; che è da sempre, da tutta l’eternità, senza cominciamento. Le tre Persone, Padre, Figlio, Spirito Santo, sono distinte tra di loro, ma sono anche uguali perché rigorosamente una è l’Essenza. Ecco, noi avvertiamo i silenzi di Dio solo per la mancanza di comunicazione amorosa, Gesù invece lo colse anche nell’Essenza divina, nel “volto” del Padre. Si dice che Gesù non aveva la fede, chi vede infatti non ha bisogno di credere; ma quando la comunicazione amorosa del Padre si spense durante la Passione il Cristo dovette credere che il Padre lo amava. Credette come uomo, all’interno della sua realtà unica e irripetibile di Uomo-Dio. La lettera agli Ebrei ci conduce proprio a considerare questo dicendoci (5,7): “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito”. Ecco, Gesù non diede per scontata la sua vittoria, come se essa si potesse ottenere senza l’attuazione dell’amore. Voglio dire che la Passione si chiama così proprio perché Gesù la visse amando, e non con il fare di chi cerca di astrarsi da essa, come potrebbe fare un bonzo o uno stoico, che fuggono il soffrire quando soffrono. “Soffri e offri”, ci insegna il Signore. Gesù sperò la sua risurrezione, la sua vittoria, ma per sperare dovette non dubitare dell’amore del Padre non più percepito; bisognava non dubitare in “colui che poteva salvarlo da morte”. Ma ripeto, la fede di Gesù è singolare. La nostra situazione non coincide con quella di Gesù. Noi non abbiamo la visione dell’Essenza divina, e perciò crediamo in Dio Amore senza vedere Dio. Noi lo crediamo perché si è rivelato tale in Cristo. E lo crediamo anche quando il Padre tace su di noi, quando percepiamo il silenzio del Padre, perché il Padre ci vuole fecondi d’amore. Noi, che crediamo nell’amore di Dio, viviamo gli abbandoni del Padre uniti a Cristo, che mai ci abbandona, ma sempre ci sostiene donandoci forza, amore e pace. Vedete, fratelli e sorelle, Gesù colpito dal dolore poteva ergersi di fronte al Padre presentando la sua natura divina, la sua uguaglianza di natura con lui (Cf. Fil 2,6); poteva fuggire il dolore, ma non lo fece. Sarebbe stato tradire l’amore e perciò accettò tutto il dolore, fino al vertice estremo causato dal silenzio del Padre. Accettò amando, sperando, per superare l’angoscia mortale che lo attanagliava per spingerlo a disperare e quindi a non amare. Ma mi raccomando, fratelli e sorelle, non fate confusione; vi ho già detto che il credere di Gesù va visto nell’unica e irripetibile esperienza di Uomo-Dio. Noi siamo tuttavia in lui, crediamo per mezzo di lui, speriamo per mezzo di lui, amiamo per mezzo di lui, che mai ci abbandona. Il Padre a volte ci “abbandona”; Cristo mai, e ci sostiene a vivere con amore gli abbandoni del Padre. Ma guardiamo al cammino di Gesù, che venne tra i suoi e i suoi non lo riconobbero. Gesù, giorno dopo giorno, fu sospinto verso la croce. Ogni rifiuto del suo popolo segnava un passo verso la croce e una scelta di Gesù della croce, sempre certamente scelta, ma con sempre più drammatica consapevolezza, fino all’agonia dell’Orto degli ulivi. Ad ogni passo verso la croce corrispondeva una ulteriore intensificazione dell’amore di Cristo. Così Gesù è diventato nostro avvocato presso il Padre, ma un avvocato speciale perché non solo perora per il colpevole, ma anche offre il prezzo per la liberazione del colpevole, per l’annullamento dello stato di colpa. E tale liberazione è così potente che ci fa intimi di Dio. Giovanni ci dice che è bugiardo colui che afferma “Lo conosco” e poi non osserva i comandamenti. E i comandamenti di Dio sono comandamenti d’amore. Non conosce Dio chi non ama. Gli gnostici dicevano di “conoscere Dio”, ma non lo conoscevano perché non amavano, perché fuggivano il soffrire che la vita porta con sé, fuggivano in particolare il soffrire che nasce dallo stesso amore, perché chi ama soffre nel vedere l’amato soffrire, essere colpito, umiliato, oppure spento nelle tenebre dell’errore. Obbedire a Dio è obbedire all’amore sempre, anche sotto il peso della croce anche quando l’odio del mondo si scatena contro di noi per estinguere nel nostro cuore l’amore, per farci disperare proponendoci l’orrida speranza dell’orrido refrigerio dell’odio. Di fronte alla croce si obbedisce, come obbedì Gesù: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Terribile, fratelli e sorelle, l’odio ora odia l’Amore manifestatosi. Pietro dice che il popolo e i capi agirono per ignoranza, infatti uccisero Cristo non credendolo Figlio di Dio, non volendolo credere Figlio di Dio, ma oggi molti arrivano ad odiare il Cristo nella sua identità di Figlio di Dio. Sanno quelli che profanano le Ostie consacrate, sanno. L’odio dell’anticristo sa. Noi lo vediamo; stiamo imboccando l’era dell’Anticristo. Ma niente paura, fratelli e sorelle, Cristo vive in noi. Cristo ha sofferto sulla croce anche per la vista di questo odio che sa. Tutto ha visto Gesù e tutto ha sofferto, anche di questo odio che sa. Vedete, fratelli e sorelle, come noi siamo lontani dal cogliere la forza, la grandezza immisurabile della Passione di Cristo, se guardiamo solo ai flagelli, alle spine, ai chiodi, alla sete. Il dolore massimo del Cristo fu causato dall’odio, e questo dolore divenne totale perché non ci fu più su di lui il refrigerio della comunicazione amorosa del Padre, ma egli non dubitò dell’amore del Padre, “immisericorde” solo per essere misericordioso nel Figlio con tutto il genere umano. Al silenzio del Padre, sostenuto dallo Spirito Santo, che dava forza al Padre per tacere sul Figlio amatissimo, corrispose il grido d’amore del Figlio verso il Padre in una presentazione espiatrice di tutti i peccati degli uomini. Dice Giovanni: “E’ lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”. Fratelli e sorelle “soffriamo e offriamo” nel momento del dolore, perché in tal modo cresceremo nell’amore, e Dio ci attirerà sempre più a sé, comunicandoci sempre più il suo amore. “Soffriamo e offriamo”, sicuri di non andare delusi, perché Cristo è risorto. La strada da lui percorsa si è conclusa con la sua glorificazione e noi che lo seguiamo saremo a nostra volta, in lui glorificati.

Laudetur Iesus Christe. Semper Laudetur

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